Eremo di Capraia
Qualche giorno fa, Stefano Pucci, esperta guida ambientalista, ha proposto di visitare l’Eremo di Capraia e il paesino medioevale di Sillico. Il tempo era discreto e poiché le sue escursioni sono sempre belle ed interessanti mi sono detta perché no?
Il ritrovo dietro il teatro di Ponte a Moriano è ormai quasi diventato un’abitudine e anche l’ora di partenza, cioè le 8.30 h, non rappresentava un grande sacrificio. Dopo un’oretta circa in macchina siamo arrivati a Sillico, il nostro punto di partenza, dove abbiamo parcheggiato. Davanti a noi lo straordinario panorama delle Alpi Apuane; dietro la solita sonora salita, della quale pare non ne sappiamo fare a meno.
Fin da subito abbiamo visto che il percorso per l’eremo è davvero ben indicato tanto che i segni bianchi e blu erano così frequenti che nemmeno il più inesperto camminatore si sarebbe potuto perdere.
Il sentiero, come prospettato dalla nostra guida, non era particolarmente difficile ma neanche facile facile. Per buona parte, infatti, abbiamo camminato accanto ad un dirupo per me piuttosto profondo e qualche caduta di massi qua e là ha reso il proseguire un po’ più impegnativo.
Non so se era il caldo umido, i metati abbandonati lungo il percorso, le malefatte dei banditi della zona descritti nei libri di storia accennati da Stefano, ma mi sono sentita risucchiata nella vita quotidiana dura e faticosa degli abitanti di allora, totalmente diversa dalla nostra realtà odierna.
All’inizio, la vita della gente, così intrecciata con la natura, dipendeva totalmente dalla benevolenza degli dei. Ne era consapevole e proprio perché aveva chiaro che nel bene e nel male era legata a doppio filo, ha chiesto a loro di essere protetta dalle malattie, dal fuoco, dai fulmini, dalla grandine, dalle carestie o dalla siccità. Allo stesso tempo le persone hanno pregato per figli sani, un buon raccolto, salute, benessere e lunga vita.
Più tardi, quando le antiche religioni sono state sostituite dal cristianesimo, gli abitanti hanno messo il loro destino con le vicissitudini tutto sommato invariate, nelle mani della chiesa, del Padre Nostro e di Maria. Guadagnarsi il pane quotidiano deve essere stato tutt’altro che facile ma proprio perché la vita era così dura, la gente si prendeva cura l’uno dell’altro.
Passato un’oretta circa abbiamo visto l’eremo affacciarsi in alto sulla sinistra e dopo un altro quarto d’ora siamo entrati nel piccolo cortile fra la chiesetta (chiusa) ed una minuscola abitazione (aperta). Non posso dire che il luogo mi abbia dato una particolare emozione se non quando, guardando giù, ho visto parcheggiato una macchina a prova che i tempi sono cambiati: una volta ci si spostava a piedi con fatica impiegando un sacco di tempo come noi stamattina; oggigiorno si monta in macchina e si raggiunge la destinazione in modo comodo, semplice e veloce.
Curioso un piccolo scrigno con appoggiato in basso un paio di zoccoli gialli come quelli olandesi. Una specie di tomba di un pellegrino, straniero, che ha reso la sua vita speciale consacrando le giornate alla solitudine, forse per sentirsi più vicino a Dio. La dedica invece ce lo ha riportato fra noi altri essere umani semplici, che come lui e com’era scritto su una piccola tavola a lui dedicata, avrebbe voluto vivere per sempre.
Dopo un panino e una mela siamo ripartiti per chiudere l’anello passando da generose fioriture di edera, una placchetta fissata su una roccia per motivi di monitoraggio, una piccola piattaforma, un unico grande masso direi, con uno scorcio bellissimo sulle Alpi Apuane. Se crediamo a quello che ci raccontava la nostra guida, secoli fa il luogo sarebbe servito anche per il decollo delle streghe sulle loro scope…
Poi, ancora metati abbandonati che una volta sono stati essenziali per l’essiccazione delle castagne, primo e durante l’inverno spesso anche l’unico alimento per i popoli della regione. Non è un caso se esiste una straordinaria quantità di ricette dolci e salate, tutte a base di castagne. Ad un certo punto, la nostra guida ci ha fatto notare un enorme masso di pietra usata per affilare coltelli e, in effetti, si vedeva proprio l’usura della pietra a forma di “V”.
Poco più avanti un’altra roccia, perfettamente rotonda si è scoperta essere una comoda poltrona naturale per mettersi seduti e prendere fiato. Infine, Stefano ci ha fatto vedere come fare una specie di tazza o bicchiere per bere semplicemente piegando una foglia grande in una certa maniera. La gente del luogo ha davvero saputo vedere e usare i doni che la natura a fatto loro con generosità.
Poi è apparso un edificio non meglio identificabile, probabilmente una casa dove deve essersi consumata una grave tragedia che i genitori hanno ricordato con parole toccanti su una tavola di marmo. Non lontano, sempre nel bosco, una piazzetta con una vecchia croce di ferro è apparsa davanti a noi, ultima dimora di una o più persone defunte. Ho trovato saggio come una volta le persone cercavano di superare tragedie e colpi del destino accettando e vivendo il dolore.
Alla fine, usciti dal bosco e sistemati zaini e scarponi da trekking in macchina, abbiamo fatto un giro nel paesino di Sillico, dove il tempo sembra scorrere più lentamente che altrove.
L’atmosfera è rilassata, gentile e serena, eppure Sillico organizza anche concerti, feste e mostre ben frequentate. Dopo un bel caffè nell’unico bar del paese era quasi ora di tornare a casa ma volevo dare un’occhiata alla chiesa e al museo. La prima era decorata con splendidi drappeggi dei quali avrei voluto sapere di più. Il secondo, ubicato in un vecchio palazzo, custodiva in varie stanze attraverso un vero e proprio viaggio nel tempo e nella storia vita, morte e miracoli del paesino con i suoi fatti e misfatti, come nel resto del mondo.
Tornerò meno stanca e con più tempo. Non c’è dubbio.
Fausto Giusti
Come al solito Anneliese riesce a coinvolgere il lettore coadiuvato da belle foto che accompagnano il racconto.
Agnese
Ti aspettiamo!