Una raccolta di olive: Dieta Mediterranea
6. Domenica
Arrivano i rinforzi. Meno male, perché ad un certo punto comincio a temere che la raccolta non finirà mai. Ci sono mani giovani, forti ma alle prime armi, con tecniche di raccolta non ancora sviluppate e quelle robuste ed esperte che raccolgono abilmente e con perizia. Sanno cosa c’è da fare e la loro presenza è rassicurante e confortante. Non si sente parlare né di mal di schiena, né di freddo o di caldo, né di fame o di sete. Raccolgono come se l’unica cosa importante nella vita fosse quello e, almeno per otto domeniche, è effettivamente così. Mi trovo in mezzo a questo mondo nuovo di zecca che non conoscevo, anzi, adesso ne faccio parte anche io.
Le persone intorno a me parlano del più e del meno; ogni tanto mi giungono parole o mezze frasi. Quest’anno la raccolta è particolarmente abbondante. L’appuntamento nel frantoio è stato fissato per le undici di sera. La figlia del vicino di casa si è sposata. Il figlio di un altro conoscente, invece, si è separato. “Peccato”, sento dire, “erano insieme da quando avevano quattordici anni” e “chi l’avrebbe mai detto”…
Sono diventata velocissima, raccolgo con due mani contemporaneamente e questa tecnica mi permette di terminare rapidamente il mio compito. Aiuto quindi a togliere le olive dai rami recisi. Ora che ci penso, questo lavoro viene eseguito sia da uomini che da donne. Se non ho capito male, si trova sulla linea sottile di quello che un uomo può fare durante una raccolta di olive, senza compromettere la sua reputazione. Alla mia domanda perché tagliano gli olivi, mi spiegano che in questo modo non cresceranno troppo in altezza. L’anno successivo raccogliere sarà più facile. È l’ora di tirare le reti per ammassare le piccole drupe, ma insieme ad esse, purtroppo, anche una grande quantità di fogliame. Sembra che ci siano più foglie che olive e ci vuole non poca pazienza per dividere le une dalle altre.
Il dilemma, a questo punto, è decidere cosa fare per soffrire di meno. Stando rannicchiata sollevo la schiena ma mi fanno male le ginocchia. Stando in ginocchio contraggo troppo la schiena. Non mi resta che sviluppare una tecnica che, sapientemente alternata, è accettabile. Per un po’ rimango rannicchiata ma stendo una gamba lateralmente. Poi sto in ginocchio, sia su tutte e due le ginocchia, sia prima su uno e poi sull’altro. Infine, mi rannicchio su entrambe. Il mio soffermarsi sulla questione può sembrare eccessivo, ma non si può mai sapere che cosa ci riserva la vita. Io, per esempio, non avrei mai e poi mai pensato di finire in un uliveto toscano a raccogliere olive.
Non so come mai, ma gli uomini non vogliono ancora che salga sugli olivi e sembra che anche la stesura delle reti nasconda dei segreti che non sono tenuta a sapere, per cui mi limito a portare bastoni o attrezzi, il bacchio o la sega, a volte un coltello, che mi chiedono di prendere.
Chi partecipa alla raccolta ha diritto al pranzo e questo è un aspetto molto piacevole della giornata. Non sono abituata che qualcuno cucini per me. Per questo apprezzo particolarmente potermi mettere ad un tavolo apparecchiato con una discreta varietà di cibo. Anche non dover sparecchiare, lavare i piatti e riordinare la cucina non è affatto male. Il mio unico compito consiste nel raccogliere le olive.
Il discorso cade inevitabilmente sull’impiego dell’olio di oliva in cucina. Avevo notato il generoso uso del gustoso condimento nell’insalata, sul pesce, sulle verdure cotte, negli intingoli e negli spezzatini. La padrona di casa mi spiega che finisce quello dell’anno precedente per cucinare e che usa l’olio dell’anno corrente per condire a crudo. Adopera il suo olio extravergine di oliva di prima spremitura a freddo addirittura per friggere. Siamo tutti d’accordo sul fatto che il fritto è squisito – i Toscani sostengono che anche una ciabatta sia buona fritta – ma che non faccia particolarmente bene alla salute. Tuttavia, se proprio dobbiamo farci del male, cerchiamo di farlo gustando cibi fritti con olio di oliva, perché dà un gradevole risalto al sapore dei cibi.
“All’olio d’oliva spetta un posto di rilievo anche nella dieta mediterranea”. Ce lo ricorda una delle figlie della padrona, che studia farmacia. Alle sue domande dirette per sapere che cosa ne pensiamo, rispondiamo in modo piuttosto evasivo. Presto emerge che, in effetti, abbiamo solo una vaga idea sul significato della dieta mediterranea. Perciò preghiamo la ragazza di dividere il suo sapere con noi.
“Nel febbraio 1952, il professore americano Ancel Keys giunse a Napoli in compagnia della moglie e con la macchina carica di attrezzi di laboratorio. Si proponeva un’indagine sull’alimentazione in grado di fornire dati comparativi rispetto a quelli da lui raccolti negli Stati Uniti in relazione al rischio di malattie dell’apparato cardiocircolatorio. Bastarono pochi mesi per stabilire che la dieta del Napoletano medio era povera di grassi animali. Usava olio di oliva ricco di acidi grassi polinsaturi. Se qualcuno di loro subiva attacchi cardiaci, era, nella maggioranza dei casi, abbastanza facoltoso da nutrirsi in modo diverso. Soprattutto però con alimenti carichi di grassi animali pieni di acidi grassi saturi.
Dallo studio è inoltre emerso che l’incidenza di un infarto al cuore era in qualche modo legato al livello di colesterolo. Tale probabilità era minore nei paesi dell’Europa del Sud come l’Italia, la Grecia e la Spagna rispetto ai paesi dell’Europa centrale o del Nord e negli Stati Uniti. Questi due risultati fornivano i presupposti per il famoso studio dei sette paesi (Seven Countries Study). Si comparavano abitudini alimentari di migliaia di persone, di età fra quaranta e cinquantanove anni, in perfetta salute, in sette paesi di tre continenti: Finlandia, Giappone, Grecia, Italia, Olanda, Stati Uniti e ex Jugoslavia. Per svariati anni, indagini mediche scientifiche hanno studiato le abitudini alimentari dei soggetti esaminati con l’incidenza di malattie cardiopatiche ed ischemiche. I dati ottenuti venivano poi paragonati con i fattori a rischio come livello di colesterolo, elevata pressione sanguigna, fumo, abitudini alimentari. Si e cercato di capire quale sarebbe stata una dieta per prevenire o perlomeno ridurre il rischio di tali malattie.
Lo studio mostrò che le abitudini alimentari mediterranee erano perfette per evitare le malattie cardiache. Un risultato sorprendente fu raggiunto a Creta. Malgrado un elevato consumo di grassi – quaranta per cento del fabbisogno calorico giornaliero veniva fornito dall’assunzione di olio di oliva – non solo la mortalità totale ma anche i decessi per malattie coronariche erano addirittura più basse rispetto agli altri paesi mediterranei. Anche qui si consumava regolarmente olio di oliva ma in quantità minore. La mortalità era particolarmente alta in paesi come la Finlandia, l’America e l’Olanda. Queste popolazioni infatti facevano largo consumo di grassi animali saturi. Interessante era inoltre che il livello di colesterolo degli abitanti di Creta non differiva in modo significativo da quello degli altri paesi mediterranei che avevano partecipato allo studio.
Come si nutrivano i Cretesi? Con cibo tipicamente mediterraneo. Quindi poca carne e latticini. In compenso pesce, verdura, cereali, frutta, moderato consumo di vino rosso e molto olio di oliva. Oggi la scienza moderna sa che l’olio di oliva diminuisce i rischi di infarto del cuore. Oltre a questo aiuta a prevenire molte malattie dell’apparato digestivo, l’aterosclerosi e alcune forme di cancro. Si è inoltre visto che Italiani e Greci vivono più a lungo di Olandesi e Finlandesi.
Personalmente, non so bene cosa pensare di questa notizia. Anche io provengo da un paese molto generoso nel consumo di acidi grassi saturi. Tuttora, il ricordo di una fetta di pane abbrustolita, spalmata con un velo di strutto freschissimo e cosparsa giusto di un pizzico di sale, mi fa venire l’acquolina in bocca. Però, dopo tutto quello che ho imparato negli ultimi dieci minuti, sono più che contenta di aver cambiato le mie abitudini alimentari parecchi anni or sono!
L’argomento, naturalmente, non finisce con l’olio e le sue possibilità d’impiego ma interessa anche le drupe. Parliamo di salse, sughi, antipasti, primi, secondi e contorni, che acquistano la giusta grinta con l’aggiunta di una manciata di olive. In alcune specialità tipiche, poi, la loro presenza è addirittura indispensabile. Ogni commensale ha la sua oliva preferita. A quasi tutti, me compresa, non piacciono quelle al forno, che tradizionalmente vengono aggiunte al coniglio alla cacciatora. Le troviamo troppo amare e tutto sommato insipide. Molto amate sono invece le cosiddette “nostraline”, olive toscane in salamoia, piccoline, sode e piene di sapore.
Chi possiede un oliveto, di solito, oltre a fare il proprio olio, prepara anche le olive e l’affermazione della signora, che cucina, arrostisce, stufa, cuoce al forno, frigge e condisce con il suo olio da decine di anni, ma che non è mai riuscita a conservare in salamoia le sue olive mi coglie di sorpresa! I suoi tentativi sono tutti finiti con olive ammuffite e immangiabili. Fedele alle mie origini, potrei parlare di burro e di strutto, non certo di olive. Ma essendo sempre aperta a cose nuove mi ero – seppure in modo teorico – già interessata alla conservazione delle olive. Avevo chiesto consigli, piccoli trucchi e segreti alle persone che mi sembravano le più adatte. Cuochi, buongustai, nonne e contadine, mi regalarono ricette quasi dimenticate, spesso laboriose, ma dal sapore formidabile, che non si trovano in libri di cucina. Così posso trasmettere a lei quello che precedentemente mi è stato insegnato:
“Devi scegliere delle olive ancora verdi, sane, sode e possibilmente polpose. Togli tutte le foglie perché sono amare. Metti le olive in un recipiente a chiusura ermetica e coprile con acqua che cambierai tutti i giorni. Se, per un giorno, te lo dimentichi, va bene lo stesso, basta che non succeda troppo spesso. Quest’operazione fa perdere alle olive l’amaro. La regola sarebbe di lasciarle a mollo per quaranta giorni. Ognuno però ha le sue preferenze, per cui la cosa migliore è di assaggiarne una dopo trenta giorni. Se ti sembra troppo amara, continua a cambiare l’acqua per un’altra settimana, poi assaggia ancora. Con questo sistema vai avanti fino a quando non decidi che per te siano abbastanza dolci.
Adesso metti sul fuoco una pentola e porta ad ebollizione acqua e sale. Per ogni litro di acqua cominci con sessanta grammi di sale. C’è chi mette ottanta o anche novanta grammi, ma pure in questo caso conta il gusto personale. Meno di sessanta grammi non sono consigliabili perché il sale funge anche da conservante. La quantità di acqua dipende dal peso delle olive: devono essere completamente immerse. Quando l’acqua bolle abbassa il fuoco e gira fino a quando il sale non si sia completamente sciolto. Adesso assaggia la salamoia. Se per te è poco salata, aggiungi altri cinque grammi di sale per ogni litro di acqua e ulteriori cinque grammi ancora se pensi che manchino. Ricorda: si può aggiungere ma non si può togliere.
A questo punto puoi unire gli odori che ti piacciono. C’è chi preferisce i classici chiodi di garofano, cannella e alloro. Volendo si può sperimentare con erbe aromatiche, bucce di arance o limone, finocchio selvatico, peperoncino, aglio, pepe e così via. Non usare più di tre ingredienti assieme, per non aromatizzare troppo le olive. Mentre lasci bollire il tutto per altri due o tre minuti, sistemi le olive in un vaso di vetro, poi togli la pentola dal fuoco e versi il contenuto sopra le olive che, come già detto, devono essere completamente coperte. Chiudi e riponi in un luogo buio e fresco, una cantina per esempio o un ripostiglio adatto – non in frigorifero.
Dopo una settimana controlla se le olive sono sempre coperte di salamoia. Dopo altre due o tre settimane, puoi iniziare a gustarle – anche se le persone in grado di resistere per quasi un mese sono pochi. Quando siamo alle prime armi, è opportuno scrivere la proporzione sale/acqua scelta e anche gli ingredienti adoperati. In base ai commenti di chi li assaggia possono essere cambiate o dosate meglio per le olive della prossima raccolta. Non credere di ricordarti la ricetta a memoria fino all’anno prossimo! Rischieresti di dover ricominciare tutto da capo.”
Oltre a questo classico tipo di conservazione, le olive si possono preparare sott’olio, in aceto, sotto sale, al forno, farcite, impanate, marinate. Alla fine, ho capito come si fanno le olive nere, amare, insipide che non mi piacciono. Si tratta di olive raccolte a fine stagione, quando sono mature e cominciano a raggrinzire. Dopo la raccolta si lasciano appassire ulteriormente, poi vengono infornate a calore moderato per seccarle completamente. Dopodiché vanno sistemate in barattoli alternando uno strato di sale con uno di olive.
Siamo stati produttivi: la giornata finisce con un bilancio di raccolta di due quintali e mezzo!
Alessandra Butelli
Complimenti Anneliese per le piccole ma interessanti ricette sulle olive da mangiare. Prenderò spunto il prossimo anno.
Agnese
…ed io le assaggerò volentieri…-:)
Gino
Sono curioso di provare la ricetta delle olive in salamoia; per il prossimo anno mi organizzo e raccolgo le olive al momento giusto; poi opterò per la minima quantità di sale, magari provando 2/3 barattoli con varie aromatizzazioni…
Agnese
Perfetto. Questo era il senso della ricetta. Se poi fai un barattolo anche per me sarebbe una cosa fatta proprio bene. -:)
Alessandro
Ogni domenica c’è un capitolo con tante sorprese, dalla cucina alla salute fino al piacere di passare un momento di ristoro su un tavolo imbandito con cibi genuini. Sembrano proprio interessanti le domeniche passate negli oliveti.
Agnese
L’anno prossimo partecipi anche tu ad una raccolta. -:)
Fausto Giusti
Cara Anneliese, perfetto! La raccolta delle olive, con la partecipazione alla frangitura, è la vendemmia sono due feste. Per quanto riguarda la fatica della pulitura dalle foglie o almeno dai rametti ci può essere in piccolo accorgimento se non si dispone dell’apposito attrezzatura. Consiste del prendere una cassetta x la frutta o verdura. Se è di legno si toglie il fondo e si sostituisce con una rete metallica con i buchi più grandi dell’olivo. Si riempie un poco con le olive prese dal mucchio e si scuote destra/sinistra. Le olive passano di sotto e la parte più grossa di foglie e rametti resta nella cassetta. E così via. Oppure se la cassetta è di quelle nere forate si allargano le fessure e si procede. Sistema artigianale ma funzionale. Saluti
Agnese
Aver saputo all’ora di questa dritta…-:)