Una raccolta di olive: Frangitura
8. Domenica
Ultimo giorno – mi sembra ieri che abbiamo iniziato la raccolta. Ho già detto che in tutte queste domeniche non sono riuscita a montare su un olivo? Bene – mi sono ripromessa di non finire questa esperienza senza aver sentito l’ebbrezza del vento che, lassù, fra i rami dell’albero, mi scompiglia i capelli. Valuto diverse tattiche di approccio. “È l’ultimo giorno per cui mi spetta di diritto”. Oppure “Credete davvero che io beva la storia dei gentiluomini che non vogliono mettere a rischio l’incolumità del gentil sesso?” Alla fine decido per la seguente frase, il cui effetto ha del miracoloso. “Signori, riflettete, se volete che mi presenti alla prossima raccolta, dovete farmi salire su un albero”. Il vento non mi ha scompigliato i capelli perché faceva freddo e avevo in testa un cappellino. Ma io, lassù c’ero, e sapete che vi dico: questa sarà la mia postazione di lavoro per il prossimo anno!
Siamo agli ultimi alberi e un membro si occupa delle olive che io faccio cadere da lassù nelle reti. Un altro arrotola e sistema le reti rimaste stese sotto gli ulivi ormai spogli. Raccoglie poi anche le casse, i cesti e gli attrezzi che non servono più. Li mette tutti in una piccola capanna dove rimarranno fino alla prossima stagione. Ci dobbiamo sbrigare perché ci stanno aspettando al frantoio. E’ l’ultimo appuntamento e il proprietario mi ha chiesto se volevo andare a vedere. Sono un po’ diffidente, perché non so se la mia vittoria fresca fresca possa avere delle ripercussioni. Alla fine accetto, anche se, per dire la verità, sono un po’ delusa.
Tutti mi parlano dei vecchi frantoi e del modo di frangere tradizionale, che non potrò osservare. Il proprietario dell’oliveto, infatti, porta le sue olive – che sento anche un po’ mie – in un frantoio nuovo. Lì le attrezzature tradizionali sono state sostituite da quelle moderne e l’intera fase di lavorazione avviene in modo automatico. Ciò significa che vediamo le olive sparire e più tardi uscire l’olio. Questo, forse, è esagerato, qualche cosa, in effetti, si vede, ma ben poco, paragonato all’antico sistema.
Ma dobbiamo fare un passo indietro. Ci siamo impegnati a raccogliere le piccole drupe nella maniera più corretta possibile. Anche il trasporto dal campo al frantoio però è di fondamentale importanza. Le olive devono arrivare a destinazione il più velocemente possibile. Non dovrebbero trascorrere più di ventiquattro ore fra raccolta e spremitura; l’ideale sarebbero otto ore. Inoltre, abbiamo evitato di ammassarle troppo. Il loro stesso peso e la mancanza di sufficiente aria avrebbero potuto provocare ammaccature. La conseguenza potrebbe essere un attacco di muffe e inizio di fermentazione – morte sicura per la qualità del futuro olio.
Arrivate al frantoio, tradizionale o moderno che sia, le olive vengono liberate da rametti, pezzetti di legno e sassi. Nel nostro caso totalmente superfluo. Abbiamo, infatti, consegnato olive così pulite che ci si può specchiare dentro – o quasi! Poi si lavano in abbondante acqua corrente fredda. Così preparate sono pronte per la frangitura. Polpa e noccioli vengono triturati a fondo con una lavorazione energica. Può essere eseguita o con la tradizionale molazza o con i moderni frangitori a martelli o a dischi. Si ottiene una massa composta di polpa sminuzzata e frammenti di noccioli, che hanno una funzione drenante, in quanto facilitano la separazione della parte liquida della pasta dalla parte solida. La pasta semisolida, così ottenuta, viene rimescolata in un processo lento ma continuo nelle macchine gramolatrici. Si rompe l’emulsione acqua-olio formatasi durante la frangitura e si riuniscono le goccioline di mosto oleoso in gocce sempre più grandi.
Per secoli, queste fasi di lavorazione non hanno subito nessuna alterazione. Sono invece cambiati i materiali adoperati, in quanto l’acciaio inossidabile, oggi, spesso sostituisce il granito e il legno. Una volta ottenuto il mosto oleoso, si prosegue con l’estrazione vera e propria. Quest’ultima porta alla definitiva separazione delle tre componenti della pasta cioè sansa, acqua di vegetazione e olio. Esistono due tecniche, la lavorazione discontinua o continua per arrivare al prodotto finale. Nel processo discontinuo, l’estrazione avviene per pressione meccanica. La pasta viene posta su dischi, i cosiddetti fiscoli, una volta di fibra di cocco, oggi sostituiti da materiali sintetici. Vengono via via infilati sotto la pressa. La pressione crescente, nell’arco di un’ora circa, fa fuoriuscire la parte liquida oleosa. La parte solida, che alla fine della spremitura resta attaccata ai fiscoli, è la sansa. I metodi continui, per contro, usano altri principi fisici per separare l’olio dalla parte solida. Il frantoio che frange le nostre olive, per esempio, lavora con il sistema della centrifugazione sfruttando il diverso peso specifico dei singoli componenti. Questo conduce prima alla separazione della sansa e della parte liquida e poi alla separazione della componente oleosa dall’acqua.
L’olio appena franto, indipendentemente dal metodo di lavorazione, è torbido. Vi sono infatti mescolate mucillagini, bollicine d’aria e residui d’acqua nebulizzata. È, infatti, indispensabile una fase di riposo, durante la quale queste impurità e sostanze estranee si depositano sul fondo. Dopo questo processo di decantazione, si può travasare il saporitissimo olio ricco di clorofilla e di polifenoli, che lo proteggono dall’invecchiamento e dall’ossidazione. L’olio può inoltre essere raffinato, con un processo che gli conferisce un piacevole aspetto limpido e brillante. Un tempo questo avveniva usando del cotone, mentre oggi i produttori si affidano a filtri speciali di cartone. L’impiego di sostanze chimiche è riservato alla grande industria e solo per l’olio di sansa e d’oliva. Le procedure lasciano i grassi inalterati. L’olio, però, diventa praticamente inodore, più resistente al calore rispetto all’olio grezzo e neutro nel gusto.
“Assaggiatori esperti”, mi spiega il proprietario del frantoio, “sono in grado di distinguere l’olio ottenuto con il procedimento continuo – moderno – rispetto a quello discontinuo – classico”. Questo mi ricorda il nostro approccio alla degustazione dell’olio e mi fa sentire quasi ignorante, ma solo quasi.
La produzione media di un albero come quelli che si vedono solitamente in Toscana è di circa sette chili, con una resa media di olio di circa un litro. Questo basso risultato, che lo rende così caro, è dovuto alle qualità delle olive toscane. (Frantoio, Leccino, Moraiolo, Pendolino…)
Accanto al frantoio è allestito uno spazio con tavoli, sedie e un camino dove preparare le classiche costolette di maiale, cotte sulla brace, le patate fritte, i fagioli lessi. Piatti insomma, il cui sapore viene messo in risalto da un generoso condimento, permettendo così di valutare la bontà dell’olio appena franto. Quando finalmente esce l’olio, sono già pronte le bruschette da bagnare con il risultato del nostro lavoro. Non siamo imparziali, non potremmo esserlo. Quello che delizia occhi, naso e palato è autentica storia mediterranea. Sono relazioni umane, fatica, coesistenza di culture e di generazioni, profonda consapevolezza di appartenenza ad un unico mondo. Che sia questo, il vero dono di Atena agli uomini?
(…Sono passati mesi dalla raccolta e alcune settimane dalla potatura; tutti i giorni ho il piacere di apprezzare l’olio di oliva ottenuto dalla nostra raccolta. Le insalate mi sembrano più ricche, i piatti più gustosi, la mia pelle più luminosa, tutto il mio corpo mi sembra più scattante. Se ho ospiti a cena, non dimentico mai di far notare loro che stanno gustando un olio preziosissimo, la cui condivisione è riservata a pochi eletti; mentre scrivo queste parole, mi rendo conto che anch’io sono diventata una passionale, orgogliosa, fiera e testarda campanilista; esattamente come quelli che avevo affettuosamente preso in giro all’inizio della raccolta.)
Fausto
Cara Anneliese, bella esperienza. Capisco la delusione del frantoio moderno; quand’ero ragazzo c’erano soltanto quelli con la macina di pietra, la spremitura al torchio e la centrifuga. Al frantoio, dove non mancava il caminetto col fuoco acceso, si faceva festa, anche noi ragazzi, con noci, mandorle, salame e…vino. Grazie x i tuoi racconti. Alla prossima avventura!
Agnese
Ciao Fausto, l’anno prossimo vedo di trovare un frantoio tradizionale. -:)
Gino Santini
Complimenti per come hai saputo raccontare questa tua bella esperienza!!
Immaginavo che, prima della fine, saresti riuscita a salire sopra l’olivo, non prenderci l’abitudine però…..
Ora attendo di poter leggere qualche altra tua esperienza avventurosa.
Agnese
L’aria in cima ad un’olivo è diversa, credimi, e anche guardare da su in giù e non da giù in su ha il suo perché. -:)
Alessandro
Bene, arrivato all’ultima lezione penso di poter superare l’esame di teoria.
Per la pratica sul campo inizierei dalla consegna delle olive al frantoio, viste le specialità Toscane che si possono degustare.
Agnese
Qui c’è qualche cosa che non ho specificato: chi non lavora, non mangia. -:)