I giganti di Peccioli


Non l’avrei mai detto. Proprio mai. Eppure, a volte capita anche a me quello che sta vivendo sempre più gente, cioè una certa indifferenza riguardo a tradizioni centenarie e storia antica.

 

 


Ogni qualvolta decido di visitare un borgo toscano so già che mi devo preparare a notizie su guerre e trattati di pace fra Livorno, Pisa, Lucca, Firenze, San Gimignano, Volterra e Siena  (non necessariamente con questa cronologia) ricordate nelle piazze con statue e targhe commemorative. Non mancheranno annotazioni su cessioni di immense proprietà, costruzioni di chiese, monasteri, palazzi, torri e castelli nell’arco dei secoli. Potenti famiglie nobili con gli stemmi ben visibili alle facciate delle loro proprietà si faranno ricordare per fatti e  misfatti. Infine, imparerò che litigi, rivolte della gente, mosse strategiche e tradimenti  non erano all’ordine del giorno, ma quasi.

 


Con questa consapevolezza sono partita un paio di settimane fa per visitare Peccioli, un comune nella provincia di Pisa in Toscana. Perché proprio Peccioli? Perché nel sito del Teatro del Silenzio a Lajatico, distante poco più di dieci chilometri, avevo visto delle foto di sculture enormi che mi avevano incuriosite. Qualche hanno fa, i giganti erano stati portati da Peccioli per uno degli spettacoli che il teatro organizza solo una volta l’anno.

 

 


Inoltre, avevo sentito che dal 1995/2000 in poi, il paesino si sarebbe trasformato in un autentico luogo d’arte contemporanea. Gli abitanti di un comune nella provincia di Pisa con profondissime radici accettano che l’arte moderna invada il loro borgo antico ricco di storia millenaria? Piuttosto difficile da credere.

 

 

 

 

Le strade per raggiungere il posto sono facilmente percorribili e ben segnalate (per niente scontato), del resto un po’ tutto l’hinterland pisano. Ad un certo punto è apparso dal nulla il primo dei quattro giganti che volevo vedere da vicino. Era, in effetti, di notevoli dimensioni e realizzato ad arte. Poiché stava però accovacciato sul tetto di una costruzione non mi sono potuta avvicinare più di tanto. Studenti inglesi che giocavano a pallone nel parcheggio vicino mi hanno spiegato dove trovare le altre sculture.

 

 


In effetti, non è stato difficile individuare la seconda. Immersa nella terra fino alla vita era facilmente avvicinabile, anzi, la si sarebbe potuto tranquillamente toccare. La posizione dell’uomo, cioè vicino ad un anfiteatro e circondato dal paesaggio mozzafiato della Valdera, ha davvero sottolineato la bellezza e la particolarità del baldo giovane. Bravissimi i collaboratori dell’autrice dell’opera, la ditta Naturaliter. Davvero autentici artisti.

 

 

Rimanevano gli altri due capolavori che avrei  potuto fotografare all’interno di una discarica. In una discarica? Mi era sembrato davvero strano. Così, dopo pochi chilometri in machina, sono arrivata davanti al cancello del cosiddetto “Triangolo Verde”. In lontananza, in fondo ad una collina, erano visibili le altre due sculture. Una volta lasciato nome, cognome e numero di cellulare, sono potuta entrare nella discarica che copre ben trentacinque ettari.

 

Come facevo a sapere dei trentacinque ettari? Me l’ha detto un incaricato. Perché ho parlato con un incaricato quando l’ingresso è senza intervento di personale in carne ed ossa? Semplice. Entrando, invece di scendere con la macchina verso destra sono andata a sinistra. Dopo qualche centinaio di metri mi ero accorta del mio errore e ho girato la macchina per tornare indietro. In tutta la discarica c’era una sola pozzanghera dove rimanere impantanati e l’ho presa io.

 

 

Quindi, nel primo pomeriggio sotto il sole cocente di Agosto sono tornata indietro a piedi verso il cancello d’ingresso per chiedere aiuto. Un impiegato è arrivato quasi subito con l’occorrente per liberare la macchina. Il veloce pronto intervento mi fa sperare che non sono stata né il primo né l’ultimo visitatore con un problema simile. Una piccola consolazione per il mio orgoglio ferito.

 

 

Il mio salvatore non deve essersi fidato più di tanto della mia guida tanto che si è offerto di accompagnarmi giù dove si trovavano le sculture. Mi ha raccontato che una ventina di anni fa il comune sotto la guida del sindaco Renzo Macelloni decise di risanare e bonificare la discarica piena di problematiche ambientali, strutturali ed organizzative ispirandosi ai modelli dei paesi nordici.

 

 

Anno dopo anno, con l’aiuto di gente lungimirante e concittadini in gamba, la discarica è stata trasformata nell’odierna azienda modello. È in grado di smaltire e in parte trasformare in energia non solo i propri ma anche i rifiuti provenienti da altre regioni. La discarica è diventata strategica per tutta la Toscana per quanto riguarda energia rinnovabile e ricerca.

 

 

Tutto questo ha portato un notevole benessere economico che il comune investe  in infrastrutture e servizi per la valorizzazione del territorio, del turismo e del patrimonio culturale. Oltre a questo punta sulle belle arti in generale e l’acquisto di opere d’arte contemporanee. Ecco svelato il mistero. Rimaneva che fare le ultime foto dei giganti, una donna e un uomo che non annegano nella spazzatura ma rinascono e si inalzano da essa. Auspicabile metafora.

 

 


Infine ho risalito la piccola collina per visitare Peccioli. La coesistenza di storia antica (tabernacolo di Benozzo Gozzoli
) e arte contemporanea (David Tremlett e gli altri) con campi e prati a perdita d’occhio come scenografia è davvero sorprendente, direi quasi unica nel suo genere. Se poi consideriamo che siamo in Toscana, conosciuta per l’attaccamento profondamente radicato alle tradizioni, non si può che applaudire. Chapeau. Tanto di cappello.

 

 

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